Silvia Boretti, di mestiere infermiera, è arrivata al Meyer nel 2002.
Ci è arrivata perché lo ha fortemente voluto, perché a un certo punto ha capito che il lavoro che faceva prima non era quello per lei, e che andava cambiato tutto. Così ha studiato, con tenacia, è diventata infermiera e adesso eccola qui.
Eccola sulla soglia del Family Center del Meyer, dove anche oggi inizia la sua giornata come infermiera Coordinatrice del servizio di continuità assistenziale ospedale-territorio e scolastica, dopo tanti anni trascorsi soprattutto nei reparti di Oncoematologia, Pediatria medica e Terapia intensiva neonatale. Prima scout, poi anche volontaria sulle ambulanze, Silvia si porta dentro un forte spirito di servizio verso il prossimo.

Il suo ruolo attuale è quello di organizzare il rientro a casa dei pazienti dell’ospedale che avranno bisogno di proseguire le cure anche una volta usciti:

“Il nostro compito è quello di agevolare il più possibile il rientro in sicurezza delle famiglie al loro domicilio. Proviamo ad alleggerire un po’ il carico pesante che si portano dietro, guidandoli anche nella burocrazia, e talvolta questo riesce a tradursi anche nella possibilità di essere dimessi più precocemente”.

E questo è sempre una vittoria: significa per i piccoli tornare prima al gioco, alla scuola, ai fratellini e, per i grandi, affrontare tutto “da dentro il nido”.
Silvia e il suo staff, dunque, si prendono cura di questo momento di passaggio, fanno in modo che i familiari arrivino il più possibile preparati al momento in cui saranno loro a dover gestire in modo autonomo tutti gli aspetti dei bisogni dei loro bambini. Che sono molteplici: può trattarsi di dover attivare la scuola in ospedale, di chiedere la fornitura di bombole di ossigeno, di presidi monouso e/o elettromedicali.  Orientano inoltre le famiglie su come procurarsi le terapie, oltre a organizzare il percorso affinché il bimbo sia seguito dagli infermieri a livello domiciliare (magari a centinaia di chilometri dal Meyer):

“Può esserci la necessità di continuare la formazione del care giver, cioè di colui che si prende prevalentemente cura del bambino”.

È un’attività che comincia quando ancora il ricovero è in corso e che prosegue anche dopo che le famiglie sono state dimesse, in continua collaborazione con i servizi del territorio: è con Silvia e il suo team, insomma, che prende forma “il Meyer dopo il Meyer”.
Fino a non molto tempo fa la nostra infermiera aveva lo stesso ruolo di coordinamento in un reparto un po’ delicato dell’ospedale, la Terapia intensiva neonatale (che tutti chiamano, affettuosamente, Tin). Le manca?

“Eccome, la Tin è come tatuata nel cuore. I neonati non parlano, ma con l’esperienza e la formazione impari che anche il più insospettabile dei loro starnuti vuole dirti qualcosa”.

È proprio tra quelle incubatrici che Silvia ha vissuto uno dei ricordi che si porta dietro con più affetto:

“Arrivò da noi una piccolissima paziente, fortemente prematura. Pesava solo mezzo chilo e temevamo tutti per lei. Invece ce l’ha fatta, con una forza incredibile, e oggi è una ragazza che sta benissimo. Al tempo decisi che se avessi avuto una figlia, le avrei dato il suo nome”.

Così è stato, sorride oggi la nostra infermiera.

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