La dottoressa Rosanna Martin guida il servizio di Psicologia Ospedaliera del Meyer. Si occupa, cioè, di uno di quei preziosi tasselli che ogni giorno garantiscono ai pazienti dell’ospedale e alle loro famiglie di trovare nel Meyer un “porto sicuro”.

Con un sorriso che accoglie e rassicura, la dottoressa Martin e le sue colleghe, ogni giorno entrano in punta di piedi nelle storie di chi in quel momento attraversa il Meyer e ha bisogno di un supporto psicologico.

Una mamma, un babbo, un fratellino, il paziente stesso: le psicologhe del Meyer si mettono in ascolto, accolgono le loro vicende.

“Non è semplice raccontare la peculiarità del nostro lavoro in ospedale – spiega la dottoressa Martin, che è psicologa e psicoterapeuta specializzata in età evolutiva – Potremmo rappresentarlo così: allo psicologo non viene chiesto di fare, cosa che spetta al medico e alle figure sanitarie, ma di stare con le situazioni che si presentano, ascoltando emozioni e silenzi, aiutando i genitori a sostenere le incertezze e i dubbi che sempre si legano a un percorso ospedaliero, specialmente quando si ha a che fare con un trauma”.

E allora eccole che ci sono. In un corridoio fuori dalla Rianimazione, nel loro studio con un bambino con una malattia cronica, in Oncologia al fianco di un letto: ogni anno le otto specialiste del Servizio di psicologia ospedaliera del Meyer prestano circa 10mila consulenze. Tantissime:

“Normalmente lavoriamo in 14 reparti, oltre che nei day hospital, ma possiamo raggiungere anche  gli altri servizi del nostro ospedale: negli anni si è creato un clima di fiducia e collaborazione con il personale sanitario del Meyer e tutti sanno che possono attivarci ovunque ci sia bisogno”.

Uno degli affiancamenti più importanti operati dalla squadra della nostra psicoterapeuta è quello durante il momento della comunicazione delle diagnosi:

“Specialmente quando si tratta di malattie gravi, ogni parola, e ogni silenzio, del medico e del paziente, assume un valore importante. Per questo la nostra presenza può essere d’aiuto: è condividere e mettersi a disposizione. I familiari sanno che, se vogliono, siamo lì con loro, durante e dopo il colloquio”.

Un altro aspetto importante del lavoro della dottoressa Martin e del suo team è quello in collaborazione con il Pronto Soccorso:

“Accade sempre più spesso che, sottostanti a sintomi fisici di alcuni bambini che arrivano in urgenza, si nascondano anche disagi psicologici – spiega – Per questo, quando il medico ha approfondito il campo clinico e ritiene sia il caso, interveniamo e invitiamo le famiglie a tornare per una consulenza nel nostro ambulatorio dedicato proprio a questo”.

È questo il senso di quella “presa in carico globale” che il Meyer ha fatto sua: nel percorso terapeutico di ogni bambina, bambino, ragazza e ragazzo, non c’è solo la cura del corpo, ma quella della persona tutta, e della rete familiare che lo circonda.

Con lo sguardo al “qui e ora” ma anche un po’ teso in avanti, a quando i momenti più difficili saranno alle spalle e si tornerà a una nuova quotidianità:

“Quello delle relazioni, tra familiari e con l’esterno, è uno degli aspetti più importanti della cura: quando in una famiglia irrompe la malattia, è come se ci fosse un black out, e il nostro compito è anche quello di aiutarli a riorganizzarle”.

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