Poi è arrivata l’assunzione, intanto gli interessi di Leila sono cresciuti ancora: a lungo si è divisa tra il primo ambulatorio e quello di Immunologia, dove si è concentrata sullo studio dei vaccini.
Fonti narrano – e Leila lo racconta timidamente – che avesse già deciso da piccola di fare questo mestiere:

“Mi sono sempre piaciuti i bambini, e infatti anche mentre studiavo facevo la baby sitter”, ricorda.

A questa passione, crescendo, ha unito quella per la medicina e così è iniziata la sua storia al Meyer.
La hanno sempre appassionata i virus, i batteri e lo studio del loro rapporto con l’uomo. Oggi il suo lavoro al Meyer si concentra proprio su tutto questo, perché la prima parte della sua giornata si snoda tra l’ambulatorio di Malattie infettive e quello di Salute internazionale.
Questo vuol dire che, quotidianamente, vede bimbi che arrivano in ospedale, per motivi diversi, da tutto il mondo. Qualcuno è stato adottato, qualcuno si è trasferito in Italia con la sua famiglia, qualcuno è di passaggio.

A volte il problema è una malattia infettiva, altre si tratta di una consulenza per le vaccinazioni da fare prima di un viaggio, altre di un controllo dopo una terapia. Nelle sale di attesa di quegli ambulatori si incrociano tante storie, e Leila le accoglie una per una: il mappamondo gira, le persone parlano lingue diverse e farle sentire un po’ a casa e comprese nei loro bisogni è uno degli obiettivi che il Meyer, con i suoi operatori, si pone da sempre.

“È un lavoro bellissimo, che si fa in squadra e che ogni giorno è diverso – racconta sorridendo la dottoressa – Ogni bambino è a sé, nulla si ripete identico e per questo ogni caso per noi costituisce occasione di studio”.

Leila descrive le sue giornate al Meyer con una grande passione negli occhi, ma anche con estrema naturalezza. Certo, è un mestiere impegnativo, con orari difficili, e pronti a dilatarsi al servizio di un bambino che arriva all’improvviso.

Anche perché, accantonata per qualche ora la divisa da infettivologa, al Meyer  indossa anche quella di pediatra: succede nelle notti e nei fine settimana, quando sale a fare “le guardie” nei reparti di pediatria generale. Di nuovo nella sua veste di infettivologa, poi, presta consulenza al Pronto Soccorso e risponde al telefono ai colleghi che si rivolgono al Meyer dagli altri ospedali della rete pediatrica toscana per avere un teleconsulto.
Ecco perché, a conti fatti, è subito sera:

“Ma non mi pesa: anche nei periodi più impegnativi, vedere un bambino che sta meglio basta a tutto il resto”.

È con questa precisa convinzione che i dottori come Leila scelgono di dedicarsi ai più piccoli. Ecco che allora il senso profondo del suo essere pediatra scivola dentro una parola:

“Per me la gioia più grande arriva quando riesco a entrare in sintonia con la famiglia. Certo, l’orgoglio di parlare a un importante convegno è innegabile. Ma la soddisfazione più grande è quella di un genitore che ti dice grazie” .

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