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Vorremmo condurvi attraverso le loro parole per gli spazi e i corridoi del nostro Ospedale, per rappresentare l’intreccio di passione e professionalità che mettiamo in campo per i piccoli pazienti del Meyer.
Un intreccio di cui anche tutti i nostri sostenitori fanno parte, grazie al loro prezioso dono.
Lo aveva deciso da piccolo, che da grande avrebbe fatto lo scienziato. E così è andata: Valerio Conti è un dirigente biologo, responsabile dell’Unità Operativa di Ricerca in Neurobiologia Cellulare e Morfofunzionale dell’IRCCS Meyer.
Un nome difficile, che lui, invece, riesce a spiegare nelle sue funzioni con grande semplicità:
“Nel nostro laboratorio studiamo i meccanismi alla base di alcune malattie cerebrali: cerchiamo di individuare il difetto cellulare, per provare a trovare la cura”.
Una delle linee di ricerca più importanti e promettenti di questo laboratorio – che fa parte del Dipartimento di Neuroscienze e Genetica Medica del Meyer diretto dal professor Renzo Guerrini – ha a che fare con le cellule staminali:
“Partiamo da cellule staminali ottenute riprogrammando le cellule della pelle e le differenziamo in neuroni, che con le cellule della pelle condividono l’origine embrionale”.
A che scopo?
“Questi neuroni, uguali a quelli presenti nel cervello del paziente, possono essere studiati sia per approfondire le cause della malattia, sia per testare nuove potenziali terapie personalizzate”.
Il campo di applicazione di questi studi comprende patologie molto delicate ed invalidanti, come le encefalopatie epilettiche o le malformazioni cerebrali: ecco che l’orizzonte di nuove terapie schiude la possibilità di rendere a tanti bambini un futuro meno difficile.
“Per me è un onore lavorare in ambito pediatrico, perché fare ricerca per i bambini significa lavorare per migliorare la loro aspettativa e qualità di vita, fare in modo che possano crescere nel miglior modo possibile pur con malattie importanti come sono quelle di cui ci occupiamo”, spiega.
Per sua stessa definizione il nostro biologo è un “purista di laboratorio”. I bambini, nella sua pratica quotidiana, non li vede. Ma nulla cambia nel senso profondo del suo lavoro: ad esempio, ha bene in mente le tante famiglie alle prese con il ripetersi di crisi epilettiche che non sanno quando e come dovranno affrontare. Anche per questo, non può fare a meno di fare ricerca nel campo delle neuroscienze: è una vocazione, fin da quando era piccino e non gli andava giù che gli antichi egizi scartassero il cervello nei loro rituali di mummificazione.
“Quando devo mettere da parte la ricerca, a conti fatti succede comunque in nome della ricerca – osserva – Nell’ultimo anno ho condotto un’attività a supporto della direzione scientifica del Meyer, iniziando proprio nel periodo in cui il nostro ospedale ha fatto il grande passaggio a istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS)”.
E allora ha iniziato ad alternare alle attività ai microscopi e nelle stanze per le colture cellulari, un minuzioso lavoro di rendicontazione e formazione organizzativa. In questo modo, si capisce, la giornata finisce alla svelta e così accade che spesso, quando il nostro biologo riemerge dal Laboratorio, sia buio. Non è un caso che si sia ritagliato una passione che non ha bisogno di luce solare. Sorride, è così:
“Sono appassionato di fotografia e di astronomia, e ho unito queste due cose dedicandomi all’astrofotografia”.
E allora, zaino in spalla, in certe sere sale in collina e punta l’obiettivo al cielo, alla ricerca di stelle e pianeti, lo sguardo avanti, con curiosità e passione, come la scienza chiede.
Tra pochi giorni, fra l’altro, esaudirà anche il suo sogno nel cassetto di poter portare un telescopio al Meyer: per una serata anche i bambini che si trovano in ospedale, con un laboratorio speciale in Ludoteca, avranno l’occasione di guardare il cielo e, magari, innamorarsene come è successo a lui.