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Il dottor Cesare Filippeschi di mestiere fa il dermatologo pediatrico. Al Meyer è arrivato 8 anni fa: facendo una scelta che va un po’ controcorrente, ha deciso di chiudere il suo studio privato e di prestarsi al servizio pubblico.
Eccolo qui. Sono da poco passate le sei di mattina e Cesare cammina per le vie collinari che portano al Meyer: all’alba, sempre, e a piedi. Quattro chilometri e arriva dal suo camice: per scelta, questo dottore simpaticissimo, usa solo mezzi ecologici e rigorosamente condivisi per spostarsi.
Gli piace iniziare il suo lavoro molto presto:
“I miei colleghi mi prendono in giro, dicono che la mattina apro io i cancelli del Meyer”.
La giornata ingrana veloce: c’è da organizzare il lavoro del team, poi arrivano i piccoli pazienti in ambulatorio e poi ancora via in reparto, a fare consulenze:
“Quella del Meyer è una dermatologia molto interdisciplinare – racconta – Ci capita sempre più spesso di fare diagnosi di malattie rare proprio partendo dalla loro espressione cutanea”.
Con grande determinazione, negli anni, l’unità di Dermatologia pediatrica del Meyer è cresciuta e si è conquistata ruoli di pregio anche oltre i confini nazionali:
“Siamo diventati centro di riferimento europeo Ern Skin per le malattie rare della pelle e partecipiamo a molti studi europei. Dentro il Meyer, poi, abbiamo avviato 5 ambulatori multidisciplinari per seguire in modo sinergico bambini con patologie complesse e, proprio poche settimane fa, abbiamo inaugurato anche un master universitario di II livello in Dermatologia pediatrica”.
E poi ci sono 50 pubblicazioni scientifiche firmate in tre anni:
“Oltre alla parte clinica è fondamentale portare avanti la ricerca, per affrontare malattie vecchie e nuove con terapie sempre migliori”.
Le idee questo dottore le ha da sempre molto chiare. Una volta, in seconda media, lo hanno intervistato chiedendogli cosa volesse fare da grande. “Il dottore medico”, rispose lui. Detto, fatto. A un certo punto dei suoi studi poi, ha deciso che voleva occuparsi di bambini:
“Ho capito che lavorando con loro c’era sempre qualcosa in più, che comunicare con loro era sempre bello e genuino”.
E non lo diceva per dire: di bimbi suoi ne ha avuti sei, e l’altra metà della sua vita la dedica a prendersi cura della pelle di piccoli e giovani. Con un aspetto della sua missione in cui crede molto:
“Quando prendo in carico un bambino cerco sempre di porre tanta attenzione all’accoglienza della famiglia nella sua totalità. A volte, nelle situazioni più difficili, questo può voler dire anche saper “contenere”, attraverso l’ascolto, le reazioni degli adulti- racconta con entusiasmo – Per questo cerco di trasmettere anche ai giovani medici specializzandi l’importanza della comunicazione empatica, che deve essere sempre al centro dell’assistenza medica, più che mai di quella pediatrica”.